L’infrastruttura IT delle imprese cambia.
E, sempre più spesso, si appoggia a un provider. Scegliere quello giusto può fare la differenza
Si fa presto a dire cloud. La nuvola informatica è un “digital enabler”. Con questa espressione, Anitec e Assinform definiscono i comparti più innovativi, capaci di fare da propulsori alla trasformazione digitale in settori diversi. I dati certificano questa visione da parte delle aziende, sempre più spesso orientate a mettere il cloud al centro della propria attività e della propria organizzazione. Secondo il rapporto “Il digitale in Italia 2018”, nel 2017 il mercato del cloud computing è cresciuto del 21,7%, superando i 2,2 miliardi di euro di valore. E nel 2018 il ritmo ha accelerato: +23,6%.
All’interno di questo grande insieme, ci sono molte combinazioni possibili, che fanno capo a tre modelli: privato, pubblico e ibrido. Nel primo, i servizi sono allocati a una specifica azienda e sono esclusivi. Nel cloud pubblico, invece, un provider offre strumenti, capacità di calcolo e spazi di archiviazione a chiunque voglia utilizzarli, in uno spazio condiviso. Assetti diversi, ma con obiettivi simili: il provider deve essere capace di garantire sicurezza ed elevate prestazioni. L’ibrido può essere definito come l’intreccio tra pubblico e privato: un’infrastruttura fatta di risorse on premise (cioè detenute dal cliente) e in outsourcing (custodite dal provider), nel quale diventa decisiva la capacità di far dialogare ambienti digitali interni ed esterni.
Gli investimenti, spiega il Rapporto Anitec-Assinform, sono “ormai trasversali a tutte le aziende”, ma hanno imboccato una direzione ben precisa: già nel 2017, cloud ibrido e pubblico concentravano oltre il 60% degli investimenti. Una quota destinata ad aumentare, perché non sono solo i due modelli che attirano più risorse, ma anche quelli che crescono più in fretta. Nel 2017, gli investimenti in cloud pubblico sono aumentati del 32%, quelli sull’ibrido del 26,1%. Avanzano quindi a velocità doppia rispetto al cloud privato (+13,7%). Non si tratta di una tendenza solo italiana, ma di una dinamica globale: secondo Gartner entro il 2020 il 90% delle organizzazioni adotterà servizi di infrastruttura basati sul cloud ibrido. Un rapporto di IDC sostiene che il 37% delle aziende abbia già preferito una strategia “cloud first” rivolta al cloud pubblico per il lancio di nuovi servizi digitali.
Il futuro sembra andare dunque verso una gestione sempre più aperta, composita e condivisa. Che, di conseguenza, ha bisogno di competenze difficilmente reperibili all’interno dell’azienda. Ecco perché questo trend spinge verso servizi esterni, tra i quali il cloud provider gioca un ruolo decisivo.
Ci sono quindi approcci diversi (privato, pubblico, ibrido) che richiedono scelte strategiche e competenze specifiche. Il cloud, infatti, non è solo un’infrastruttura ma – in un certo senso – anche un processo di continua evoluzione. Che spesso passa da una “migrazione”, cioè dallo spostamento di attività da e verso la “nuvola”, nelle modalità più differenti. Le imprese potrebbero, ad esempio, avere l’esigenza di traslocare dati e servizi dall’ufficio al cloud (cioè dal mondo fisico a quello digitale). Oppure affidare a un fornitore esterno applicazioni digitale fino ad allora gestite internamente, migrando da un ambiente privato a uno pubblico o ibrido. O, ancora, trasferirsi da un partner all’altro. In ogni caso, affidarsi a un provider non basta: serve che il fornitore di servizi, oltre alle competenze tecniche, abbia un approccio strategico e sappia, come un sarto delle infrastrutture, cucire una migrazione su misura.
Anitec e Assinform sottolineano che “il cloud è una priorità̀ sia per conseguire obiettivi di efficienza economica, efficacia e flessibilità nella gestione delle risorse IT, sia come fattore abilitante di molte strategie di Digital Transformation”. Gli obiettivi possono quindi essere molteplici, così come le strade per raggiungerli e i punti di partenza.
Ma dietro qualsiasi migrazione c’è una scelta di fondo: la condivisione di una parte della propria azienda con un partner esterno. Una scelta necessaria e spesso fruttuosa ma non sempre facile. Le imprese, ad esempio, possono essere combattute sull’affidamento a risorse interne, che però hanno bisogno di formazione specifica. Potrebbero preferire una migrazione graduale, che consenta di testare i risultati passo dopo passo, intrecciando pubblico e privato. È questa una delle regioni per cui l’ibrido è – a oggi – il modello che attira più investimenti. Le aziende potrebbero essere poco allenate e, pur volendo rimettersi in forma, non se la sentono di abbonarsi in palestra per un anno intero. Meglio andare avanti per piccoli passi con un personal trainer.
Compito di un provider è accompagnare anche queste decisioni, costruendo – accanto a un’infrastruttura solida – un rapporto di fiducia che lo sia altrettanto.
Il tema della migrazione e il ruolo dei provider si pone anche per organizzazioni più mature dal punto di vista digitale. Un’impresa che ha già adottato servizi in cloud può infatti decidere di cambiare provider, creando potenziali conflitti: è il cosiddetto “vendor lock-in”. L’organizzazione resta impigliata nei servizi del precedente fornitore, che così finiscono per rallentare la migrazione e, di conseguenza, intralciano sviluppo e trasformazione digitale. È quello che – in piccolo – succede ogni volta che si acquista uno smartphone. È più semplice trasferire app e dati se il vecchio dispositivo aveva lo stesso sistema operativo del nuovo. Proprio per evitare inconvenienti di questo tipo, si sta facendo strada un quarto modello, il cosiddetto “Multi Cloud”, nel quale l’azienda utilizza e coordina servizi pubblici di diversi provider. È un modo per trovare soluzioni tecniche ed economiche adatte alla propria organizzazione, ma anche una soluzione che non crea dipendenza da un singolo fornitore.
Le società che guardano al cloud dovrebbero quindi valutare il provider anche alla luce della sua capacità di evitare complicanze di questo tipo, sia nel passaggio dall’ex partner, sia in previsione di un’eventuale uscita futura. Ecco perché, all’inizio o strada facendo, serve un cloud provider che faccia da consulente e non solo da fornitore di tecnologia. Che sia un autista (per correre più veloce) ma anche una guida (per indicare la direzione migliore).