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C’è uno scambio di amore fondamentale, tutte le sere, con il pubblico. Un insieme di emozioni che fa superare momenti anche molto difficili


C’è l’amore per un lavoro. E quello per un’arte. L’amore per il cinema, per i libri, per la musica. E c’è l’amore per il teatro. Quella passione che spinge gli attori a salire, ogni sera, sul palcoscenico come se fosse la prima volta. Quel moto interiore, quasi inspiegabile, in grado di regalare attimi di pura felicità a chi lo prova e a chi, seduto in platea, vi assiste
«Qualche anno fa ho subito un’operazione abbastanza complessa» racconta Corrado Tedeschi, conduttore e attore teatrale di successo. «Dopo una settimana (di solito ci vuole più di un mese per rimettersi in piedi) sono andato a fare uno spettacolo. Sono entrato in scena barcollando ma, in quell’istante, è arrivata un’ondata di amore dalla platea che ha fatto il miracolo. Improvvisamente stavo vivendo di nuovo. Da questo che si capisce che tipo di gratitudine possa avere io per il teatro».
Livornese di origine e genovese d’adozione, Corrado Tedeschi, classe 1952, recita da una vita. «È cominciato tutto alla scuola elementare, quando avevo dieci anni. Sono figlio di un ufficiale di Marina, cresciuto in tanti porti d’Italia. Per questo, fin da piccolo, sapevo parlare svariati dialetti». Un dono che l’attore ha da subito sfruttato. «Alla fine delle lezioni il maestro diceva: “Adesso Tedeschi ci fa Tutto il Calcio Minuto per Minuto“». E io imitavo, con le varie cadenze, gli inviati della nota trasmissione sportiva. Vedere i miei compagni così attenti è stata, per me, una folgorazione. L’inizio del mio amore per il teatro».
Per uno che ha quarant’anni di esperienza recitativa alle spalle, il mestiere di attore non può essere considerato soltanto un lavoro. «Il teatro, ormai, è diventato la mia vita. Non so nemmeno più se la mia vita vera è quella che c’è fuori o dentro il teatro. Quando salgo sul palcoscenico mi sento perfettamente a mio agio.
Nonostante gli oltre cinquanta spettacoli in curriculum – per citarne qualcuno, “La vita è un camion” con Anna Galiena, “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello (in scena per 15 anni), “Sior Todaro Brontolon” di Carlo Goldoni, “La Capannina” per la regia di Gigi Proietti, “Le relazioni pericolose”, “L’uomo che amava le donne” e i musical “Can Can” e “My Fair Lady” – Corrado Tedeschi è riuscito a non trasformare il piacere di recitare in una noiosa routine. Ogni volta, per lui, è come se fosse un esordio. «C’è un momento in cui, quando sta per cominciare lo spettacolo, il sipario è ancora chiuso e si sentono, da dietro, le voci del pubblico seduto in platea – racconta l’attore –. Quel momento è un misto di meravigliosa attesa e, allo stesso tempo, di terrore. Una volta aperto il sipario, non si può più sbagliare niente, non si può improvvisare». Un insieme di emozioni contrastanti che esorcizza il rischio di sentirsi arrivati, «perché se non c’è quel sottile terrore prima di entrare in scena allora vuol dire che ormai hai perso la spinta per fare questo mestiere. Ed è l’inizio della fine».
Ma che cosa è più difficile fare su un palcoscenico? Ricordarsi le battute o coinvolgere il pubblico?
«È tutto collegato. La memoria per un attore è fondamentale, un po’ come la moto per Valentino Rossi. Ovviamente ci sono dei meccanismi per cui uno, per natura, ha più memoria di altri. Fondamentale, però, è anche coinvolgere gli spettatori. Con gli anni un attore riesce a capire se il silenzio del pubblico è interessato, affascinato oppure se è un silenzio di gente che sta dormendo. Sono due cose molto diverse».
La memoria non è l’unica tecnica che un attore deve affinare. C’è anche la respirazione. «Rimanere senza fiato a metà di una frase significa che l’altra metà non verrà sentita dal pubblico. Il respiro non può essere mai corto. Al contrario, deve essere pieno in modo da avere l’ossigeno necessario per pronunciare le parole bene, fino alla fine. Bisogna imparare a regolarlo. È una tecnica che viene insegnata nelle scuole di recitazione. Certo, c’è anche la componente emotiva, la più difficile da gestire. All’inizio dello spettacolo manca il fiato per l’emozione, per il terrore. Ma tutto passa appena si alza il sipario. Ci sono quei dieci secondi in cui pensi: “Vabbè, adesso scappo”. Se rimani, però, avviene il miracolo e tutto si risolve».
Nel corso della sua carriera, l’ex conduttore di “Cominciamo bene” ha recitato con decine di colleghe. Con qualcuna, però, ha avuto una particolare affinità professionale: «Le tournée sono lunghe e molto faticose. Non si tratta solo di salire insieme sul palcoscenico, fare lo spettacolo e godere del successo. Chiuso il sipario, si deve anche andare insieme a cena o stare sulla stessa macchina per tanti chilometri. Per lavorarci bene, le colleghe devono essere brave attrici e grandi compagnone. Ho ricordi bellissimi con Tosca D’Aquino e Debora Caprioglio, due colleghe che incarnano questo tipo di persone. Con loro ho lavorato molto negli ultimi anni (ndr, con la D’Aquino ha recitato recentemente in “Quel pomeriggio di un giorno da star” mentre con la Caprioglio è al Teatro Manzoni di Roma fino al 20 ottobre, con “Amore mio aiutami”)».
Non manca, a Corrado Tedeschi, l’esperienza come conduttore televisivo. Tanti i programmi in curriculum, da “Cominciamo bene” a “Forum” fino a “Il gioco delle coppie”. Ed è proprio il game show degli anni ’80 dedicato all’amore ad offrire lo spunto per parlare dell’amore ai tempi dei social network: «Che disastro. Già solo il fatto che si parli d’amore, uno dei sentimenti caratterizzati da più pudore, sui social network… L’amore è un sentimento talmente prezioso e importante che va trattato con tanta sensibilità. Una persona innamorata si tiene per sé una storia d’amore. Il fatto che venga portata all’attenzione di tutti lo trovo deprimente». Un consiglio ai giovani? «Lasciate perdere i telefonini. Guardatevi negli occhi, ascoltatevi. Avere queste protesi tecnologiche toglie l’emozione a qualsiasi cosa. Ricominciate a parlarvi. Vedrete, sarà tutto molto più bello».
L’amore nell’arte