foto: Francesca Cassaro – collage: Cristiano Di Giovanni

I volti

della normalità

Valeria, Carlo, Davide sono le persone che ogni giorno garantiscono con il loro lavoro nei supermercati la spesa di tutti

Valeria, Carlo, Davide sono le persone che ogni giorno garantiscono con il loro lavoro nei supermercati la spesa di tutti

Lavorano dietro al banco del pesce, quello della carne o della gastronomia, alle casse o in magazzino, ma anche nelle aziende agricole e negli allevamenti dove l’attività non si è mai fermata per rifornire gli scaffali dei supermercati. I volti del capitale umano dietro alla spesa di tutti i giorni garantiscono uno spazio di normalità in queste settimane di emergenza sanitaria. Accanto ai medici e agli infermieri che lottano nelle corsie degli ospedali contro il Covid-19, c’è una parte del paese che non si è fermata nonostante l’allerta virus.

Davide Giorgi
magazziniere

Davide Giorgi, 39 anni, magazziniere presso il magazzino non alimentare Coop Italia di Prato, sa di essere una parte di un tutto che non può fermarsi, «un ingranaggio», dice. «Sono contento di essere paragonato anche a dottori e infermieri». Ci sono stati cambiamenti sul lavoro in magazzino, racconta, a partire dalle distanze tra colleghi, l’uso di guanti e mascherine, ma la paura resta. È quella «di portare a casa questo virus benché si adottino tutte le misure di sicurezza». Dal telefono, mentre parla, arrivano in sottofondo le risate della figlia di quattro anni e mezzo. Accanto ai timori convive la responsabilità di far parte di una filiera che garantisce al resto della popolazione la spesa quotidiana, e la consapevolezza di poter lavorare in un momento in cui molti in Italia sono costretti a interrompere la propria attività.

Carlo De Riso
produttore

Anche il produttore di agrumi Carlo De Riso non ha mai smesso di lavorare in queste settimane. «Mi tolgo guanti e maschera e arrivo», dice rispondendo al telefono. La sua azienda, che riceve approvvigionamenti da parte dei soci dell’Organizzazione di Produttori, per circa l’80% di produttività costiera (tra i quali dieci ettari di terreno a conduzione familiare), lavora il limone a Minori, a quattro chilometri da Amalfi. Ed è fornitore di prodotti a marchio Fior Fiore Coop. Sulla costiera, i limoni si producono ancora come si faceva una volta: crescono sotto pergolati, dove pali di castagno piegano le piante, legate con rami di salice bagnati nell’acqua, per proteggerle dalle intemperie. La raccolta è fatta a mano e i frutti nelle ceste sono portati ai magazzini a volte anche a dorso di mulo. L’inizio della pandemia non è stato facile, racconta De Riso: «Alcuni dipendenti non volevano venire a lavorare. La paura era tanta, le notizie che arrivavano erano da non prendere sottogamba. C’era difficoltà a trovare mascherine e ci siamo rivolti ad aziende specializzate per ottenere quelle con i filtri in carbonio». Ora l’azienda ha istituito turni di lavoro di modo che ognuno, soprattutto nei magazzini, abbia il suo spazio, il suo metro e mezzo.
Lavorare in queste settimane significa anche avere accesso a città e paesi vuoti, scenari a tratti surreali. De Riso racconta di una recente visita di lavoro ad Amalfi, regina del turismo, dove di solito parcheggiare è un problema: «Vederla deserta alle nove del mattino mi ha fatto un po’ rabbrividire. Quest’aria che si è creata è tenebrosa. Paradossalmente per noi in questi giorni la parte logistica è più semplice». Così, nel vuoto di strade e città, le spedizioni e le forniture non si sono mai fermate: «Il lavoro è vita ed è libertà», dice l’agricoltore, che si considera oggi una categoria privilegiata proprio perché gli è permesso continuare l’attività.

Valeria Soluri
responsabile accoglienza

A dare forza a Valeria Soluri, 52 anni, responsabile per l’accoglienza all’IperCoop del quartiere Bonola, a Milano, sono i clienti. «È la parte bella del mio lavoro». Qualche settimana fa, era già scoppiata la pandemia, una signora di 88 anni che qualche giorno prima era lì al supermercato a fare la spesa, aveva avuto qualche difficoltà motoria: faceva fatica a stare in piedi e Valeria e una collega l’hanno aiutata. Qualche giorno dopo è tornata, racconta: «Si è fatta un’ora di coda fuori per portarci due mascherine cucite da lei. Era il suo modo per ringraziarci». All’inizio i consumatori ci hanno messo un po’ a capire, racconta la donna: se cassiere e dipendenti sono stati fin da subito dotati di mascherine e guanti, e sono stati montati schermi di plexiglass alle casse, per i clienti è stato difficile abbandonare alcune abitudini, come quella di avvicinarsi per chiedere informazioni o passare da mano a mano i contanti senza appoggiarli sul banco della cassa.
La vita per chi ha continuato a lavorare in queste settimane fuori casa è cambiata fin dai piccoli gesti: «Iniziamo già dalla vestizione – spiega Valeria- Esco con guanti e mascherina, ma quando arrivo al lavoro devo indossare qualcosa che è più pesante: la forza. Poi, c’è la paura quando torno a casa, e la tristezza la sera nell’attraversare un paese fantasma». Con la paura, spiega la donna, «ho imparato un po’ a convivere. Cerco di farmi forza e mi dico «Se prendo le giuste precauzioni andrà tutto bene». E mi ritengo fortunata: perché c’è chi purtroppo ha chiuso un’attività, un’azienda, e non porta uno stipendio a casa». Ad aumentare la tristezza c’è il non vedere la figlia dal 28 febbraio e la preoccupazione per due genitori anziani. «Non avrei mai pensato di dover affrontare questa situazione. Poi mi dico che anche io sono una sorta di eroina, anche io sono in prima linea, e come me le cassiere. Sento di avere una responsabilità: garantisco al cliente di fare la spesa quotidianamente. Questo mi dà forza».