La tecnologia deve adeguarsi ai processi e non viceversa: alcuni prodotti e servizi validi per un’impresa possono non funzionare o addirittura essere controproducenti per un’altra. È un principio che è sempre valso, anche nel mondo analogico.
La digitalizzazione può essere più accessibile con un approccio personalizzato. Una grande opportunità. A patto di avere il giusto sarto-provider
Qual è il vero valore aggiunto del digitale? Certo, non ce n’è solo uno. Se ne potrebbero elencare decine: la comunicazione più semplice e rapida, lo sviluppo di nuove applicazioni, la capacità di aggregare persone, una infinita quantità di informazioni a portata di tutti. Ma c’è una cosa che, più di ogni altra è realtà grazie al digitale: la personalizzazione è diventata accessibile.
Fino a pochi anni fa, avere prodotti e servizi su misura era una possibilità riservata a pochi. Un lusso. Non è più così: l’esperienza online degli utenti è disegnata in base a gusti e preferenze; le grandi piattaforme di e-commerce suggeriscono articoli sulla base degli acquisti passati, quelle di streaming indicano serie tv e film perché “intuiscono” cosa piace allo spettatore. E ancora: i prodotti finanziari vengono costruiti senza compilare decine di documenti ma online, in base alle esigenze, la disponibilità e la disposizione al rischio del cliente.
Alimentata dal digitale, la personalizzazione non si ferma al mondo fatto di bit ma si traduce in prodotti, come abiti e scarpe su misura a prezzi contenuti. La materia prima è sempre la stessa: i dati. La quantità di informazioni prodotte si è moltiplicato. Le “sentinelle tecnologiche” che le catturano e i sistemi che le elaborano sono diventati sempre più efficaci, dando così l’opportunità di personalizzare ciò che prima era uno standard, con un’efficacia impensabile fino all’altro ieri. Vale per gli utenti che si avvicinano a e-commerce, finanza e abiti. Vale anche per le imprese, che oggi chiedono (e possono ottenere) un approccio sartoriale ai propri servizi e alla propria infrastruttura IT. Ogni azienda, proprio come ogni utente, è diversa dall’altra. Opera in un settore specifico (con proprie logiche e proprie regole), ha una storia, fissa gli obiettivi e i tempi per raggiungerli. Variano risorse a disposizione (sia economiche che umane), variano le competenze di cui si dispone e il grado di maturità digitale. Ogni impresa ha un patrimonio e un’eredità di sistemi e piattaforme che richiedono un approccio “su misura” per integrare il modo efficace vecchio e nuovo. Ecco perché un provider IT che vuole servire le aziende deve uscire dallo standard e trasformarsi in un sarto digitale. Il tempo delle soluzioni IT valide per tutti è finito.
La tecnologia deve adeguarsi ai processi e non viceversa: alcuni prodotti e servizi validi per un’impresa possono non funzionare o addirittura essere controproducenti per un’altra. È un principio che è sempre valso, anche nel mondo analogico.
Correre fa bene, ma potrebbe non essere indicato se si hanno problemi alla schiena. Un bellissimo armadio a quattro ante resta un bellissimo armadio, ma in una casa senza lo spazio sufficiente sarebbe solo un ingombro. La personalizzazione, quindi, è sempre stata un vantaggio. E oggi diventa un’esigenza, una richiesta sempre più diffusa anche nel digitale; una possibilità che alcuni provider riescono a rendere accessibile, come mai prima.
Se i dati sono la linfa, il cloud è la tecnologia che la mette in circolo. La nuvola informatica è infatti la soluzione per ridisegnare o integrare l’infrastruttura aziendale in modo flessibile, scalabile e affidabile.
Il cloud, infatti, tra le altre cose, riduce gli intoppi legati alla conformità normativa ed è in grado di adattare i servizi in tempi brevi. Grazie alla disponibilità di modelli differenti (ibrido, pubblico e privato), può inoltre comporsi secondo le esigenze delle aziende. Che chiedono sempre maggiore flessibilità.
Dietro la sartorialità, a cui il mondo dei consumatori finali è sempre più abituato, c’è quindi una base tecnologica che trova fondamento nel rapporto tra imprese che hanno bisogno di soluzioni flessibili e provider IT che sono in grado di offrire non solo tecnologia ma personalizzazione. Con quali risultati? Difficile rispondere con dati puntuali che valgano per ogni settore. La ricerca di Accenture “Caterpillars, Butterflies, and Unicorns: Does Digital Leadership in Banking Really Matter?” ha provato a misurare l’impatto della digitalizzazione su 161 banche. E ha notato che “la maturità digitale è associata a premi di mercato e ritorni sul capitale maggiori”. Non è detto che questo passi da una crescita più rapida. Il vantaggio è un altro: “Il vero cambiamento – si legge nello studio – sta in una migliore efficienza”. Cioè in costi che lievitano meno del fatturato e rendono quindi la banca più sostenibile.
L’approccio sartoriale è complesso e non è materia di qualsiasi provider. Funziona come per la scelta di un abito. Quando se ne acquista uno standard, il cliente entra in un negozio e opta per quello che gli calza meglio. Con, al più, la possibilità di piccoli ritocchi. Un sarto, invece, parte dal fisico del cliente per cucirgli l’abito addosso. Prende le misure e lo consiglia su una gamma di opzioni più ampia, tra colori, tessuti, bottoni e tagli. Nelle infrastrutture IT personalizzate, il provider non è un negozio che vende capispalla o fast fashion, ma un sarto. Con gli strumenti digitali al posto di forbici e gessetto. Il percorso inizia dall’ascolto delle imprese, per poi offrire soluzioni “non solo cloud”, che mescolino la nuvola con asset di cui non tutti dispongono, come data center, certificazioni, supporto tecnico e professionisti dedicati, una rete di partner selezionati, una flessibilità organizzativa che è sempre più rara. Deve poi esserci un’offerta “granulare”, fatta di tanti pezzi, piccoli e grandi (dalla singola virtual machine a un intero data center). Perché solo così è possibile comporre forme diverse.
Un’azienda, da parte sua, potrebbe trovare più comodo entrare in un negozio e comprare una giacca fatta e finita. Devono esserci figure che sanno gestire e sciogliere la complessità richiesta dalla personalizzazione: si tratta del program manager. E che sanno ascoltare e comprendere davvero, oltre che rispondere: come il solution architect, un professionista che fonde competenze tecniche e spiccate conoscenze dei processi. La sua presenza accorcia la distanza tra provider e cliente, semplificando il passaggio delle informazioni necessarie alla comprensione delle vere esigenze dell’azienda e traducendole in soluzioni IT.