Leonardo da Vinci
e il vino

Nell’anno del cinquecentenario della scomparsa di Leonardo da Vinci (1452-1519), l’Italia e il mondo celebrano le invenzioni, le scoperte e le opere artistiche di uno dei più grandi geni della storia dell’umanità.
Se attraverso secoli di ricerche e verifiche storiche è stato possibile ricostruire molto della sua vita e del suo pensiero, tanto altro resta ancora da approfondire.
La storia che stiamo per raccontarvi riguarda la relazione tra Leonardo, il vino e la viticoltura, un filone di studi che ha conosciuto degli sviluppi straordinari a partire dalla fine del secolo scorso, grazie alla volontà e all’impegno di ricercatori illustri, amministrazioni pubbliche e soggetti privati.

– C. Fra. I 122v –
Il vino è bono ma l’acqua
avanza in tavola

La passione del genio per il vino

Nel 1515, Leonardo da Vinci scrive una lettera al fattore della tenuta di Fiesole in cui si lamenta del vino ricevuto a Milano. Da un semplice assaggio, il genio individua nella scarsa qualità del frutto raccolto e nelle errate modalità di vinificazione le ragioni della cattiva riuscita del vino. La lettera è pubblicata nel volume “The life of Leonardo da Vinci” di John William Brown, edito a Londra nel 1828.

– Da Milano a Zanobi Boni, mio Castaldo –
Li 9 de Xbre, 1515
Le ultime quattro caraffe di vino non erano come me le aspettavo e mi è dispiaciuto molto. Le viti di Fiesole, coltivate in modo migliore, dovrebbero dare all’Italia un ottimo vino, come quello di Ser Ottaviano. Sapete che ho già detto che bisognerebbe concimare i filari con macerie di vecchi muri demoliti che asciugano le radici e i fusti, così le foglie attraggono tutte le sostanze utili alla perfezione del grappolo. In più, ai nostri giorni facciamo la cosa peggiore: fermentiamo il vino in vasi aperti e così l’essenza si disperde nell’aria e non rimane altro che un liquido senza sapore colorato dalle bucce e dalla polpa; e poi non si fanno i travasi come si deve e per questo viene fuori un vino intorbidito e pesante per lo stomaco. Allora se voi e gli altri accoglieste questi ragionamenti berremmo un vino eccellente. Che il Signore ci accompagni e vi conservi.

Leonardo da Vinci

 

Per quanto riguarda la prima motivazione, ovvero l’ottimizzazione dell’uva, dalla missiva si deduce come per Leonardo risulti fondamentale mettere la pianta in condizione di trarre dagli elementi nella quale essa è inserita – il terreno, l’aria, la luce e l’acqua – la perfezione del grappolo. Per ottenere una grande uva occorre concimare la vite con sostanze basiche-silicee, che oltre a nutrirla, ne asciughino la radice e lo stelo, migliorando le condizioni igrometriche della coltivazione.
Quanto alla trasformazione, il Maestro aveva constatato che non essendo il vino stato coperto durante la fase di ebollizione, si erano dispersi nell’aria tutti gli aromi primi del frutto; inoltre, non essendo stato travasato, ma abbandonato sui residui della fermentazione, è diventato sgradevole al gusto. Le osservazioni tecniche all’enologo rivelano tutta la passione di Leonardo per il vino, ma soprattutto la modernità delle sue intuizioni.

– Alessandro Vezzosi, Direttore Museo Ideale Leonardo da Vinci –
Leonardo scrive di vino che definisce “divino licore dell’uva” in più di cento pagine. In alcuni passaggi, esprime addirittura interesse per come cambiarne il colore, da bianco a rosso. In generale, era naturale che avesse una conoscenza del vino, come anche dell’olio, considerato che il padre riceveva dai contadini oltre 120 barili all’anno

“Ai tempi di Leonardo non si conoscevano tecniche che consentissero un controllo non solo chimico, ma anche fisico della fermentazione, garantendo così che il frutto non venisse leso in nessun modo.”

A sostenerlo è l’analista sensoriale Luca Maroni, autore del libro Leonardo da Vinci e il vino (ed. Sens, 2018), le cui ricerche, insieme a quelle di eminenti leonardisti e al lavoro del personale tecnico delle Cantine Leonardo da Vinci hanno contribuito a ricostruire il Metodo Leonardo® per la coltivazione della vite e la sua trasformazione.

Si tratta di un capitolato viticolo ed enologico, esclusivo e segreto, con cui, a distanza di secoli, vengono recepite le indicazioni leonardiane ed applicate alla produzione di ogni suo vino in modo originale e attraverso tecniche avanzate.

– SimonPietro Felice, AD Leonardo da Vinci SpA –
Leonardo era un antesignano dei suoi tempi: studiò il volo 300 anni prima che altri capissero come funzionava il volo degli uccelli e delle macchine. Quando ci approcciamo al suo genio, dobbiamo avere un grande rispetto, ma possiamo trarre spunto dai suoi insegnamenti per fare un vino che a lui oggi piacerebbe, e di cui andrebbe fiero.

Leonardo conosceva Il Trattato dell’Agricoltura di Pier De Crescenzi del 1330, che aveva consultato presso la Biblioteca Malatestiana.

Leonardo disegna un piccolo fusto di legno. Si tratta della prima barrique mai raffigurata. I piccoli carati o caratelli per movimentare il vino durante le fasi di invecchiamento erano in uso nelle cantine già allora. La misura di 225 litri altro non è che l’equivalente, in termini di volume, della maggior massa movibile da un uomo, racchiusa all’interno di un vaso di legno.

L’Ultima Cena secondo Giorgio Vasari rappresenta la “maniera moderna”, una nuova idea di naturalismo che colpisce Caravaggio, primo pittore italiano a dipingere nature morte.

Leonardo da Vinci, la vite e il cambiamento climatico

Oltre alle straordinarie osservazioni qualitative contenute nella celebre Lettera all’Enologo del 1515, esiste un altro importante documento custodito presso la Biblioteca Ambrosiana che testimonia l’interesse del genio per la vite. Lo racconta il Prof. Attilio Scienza, genetista della vite e coautore del libro La stirpe della vite (ed. Sperling & Kupfer, 2018), nel capitolo dedicato a Leonardo da Vinci.

Si tratta di uno studio che Leonardo esegue dopo aver ricevuto delle informazioni dalla Borgogna, dove i monaci benedettini avevano osservato che il momento della raccolta e della trasformazione dell’uva andava posticipandosi sempre di più.

Un fenomeno che lo scienziato cerca di interpretare attraverso l’analisi di alcune piante di vite i cui cerchi di accrescimento erano chiaramente in sofferenza perché molto ravvicinati tra loro. Con sagacia e versatilità Leonardo imputa le ragioni del cambiamento della condizione della pianta alle variazioni del clima – si entrava allora in un’epoca fredda – e non a fenomeni ciclici naturali, come invece erano soliti spiegare i suoi contemporanei.

Il campo di osservazione di cui si serve Leonardo è una parte del vigneto di proprietà della famiglia Atellani che lo ospita nel suo primo periodo milanese (1482-1500), datogli in dono da Ludovico Il Moro (1452-1508), reggente del Ducato di Milano e committente dell’Ultima Cena, che lo stesso Leonardo menziona nel suo testamento.

Il rinvenimento della vigna di Leonardo a Milano

La vigna si trovava all’interno di un enorme complesso di fronte alla chiesa di Santa Maria delle Grazie e comprendeva il convento di San Sebastiano, il convento delle Stelline e quello di San Vittore, oltre alla residenza degli Atellani, ai suoi giardini e al frutteto.

– Milano, Giardino di Casa Atellani ⁄ Foto: Carlo Dell’Orto –

In occasione di Expo 2015, un team di ricercatori dell’Università di Milano guidati dal Prof. Scienza insieme a Luca Maroni è stato incaricato dalla Municipalità di far rivivere il vitigno leonardiano andato distrutto nel 1943 a causa di un bombardamento incendiario, oggi aperto al pubblico.

Le antiche radici rinvenute sono state analizzate utilizzando la avanzatissima tecnica del barcoding e messe a confronto con 277 varietà di erbari provenienti da viticulture tradizionali italiane ed europee. Il vitigno leonardiano era coltivato a Malvasia, ma si trattava di un mutante aromatico di Lambrusco bianco, originario di Candia, un paese tra Piacenza e Pavia.

Guarda il trailer del documentario “Il vino di Leonardo” o scopri di più su www.leonardodavinci.it